Il Polyomavirus aviare (APV) e le analisi del DNA
Il Polyomavirus aviare (APV) è noto per essere l’agente causativo della malattia dei pulli: si tratta di un virus molto contagioso diffuso in tutto il mondo, che colpisce principalmente gli Psittaciformi. È stato identificato per la prima volta all’inizio degli anni ‘80 in soggetti appartenenti alla specie Melopsittacus undulatus (cocorita), ma molti studi epidemiologici effettuati fino ad oggi hanno dimostrato la sua capacità di infettare anche altre specie di pappagallo come ad esempio Inseparabili, Parrocchetti dal collare, Are, Conuri ed Ecletti.
Il virus può colpire soggetti di tutte le età ma un più alto tasso di mortalità è stato finora registrato nei nidiacei e nei soggetti più giovani. I soggetti adulti possono invece essere più frequentemente portatori sani del virus e fungere da fonte di infezione per i pulli e gli embrioni
I sintomi clinici associati all’infezione da APV sono generalmente perdita di piume, pallore, perdita di appetito ed emorragie sottocutanee. Tuttavia questi non sempre sono manifesti oppure possono essere amplificati dalla presenza di altri fattori o patologie, come ad esempio in seguito a immunodepressione per infezione da BFDV .
Ad oggi non esiste una cura capace di debellare il virus, nonostante negli Stati Uniti ci sia un vaccino ancora in fase sperimentale. Per questo motivo la prevenzione è fondamentale ed è necessario prendere precauzioni quando si introducono nuovi soggetti in allevamento o nella propria abitazione, soprattutto se sono presenti altri pappagalli.
Modalità di trasmissione del Polyomavirus
Polyomavirus (APV) è un virus persistente nell’ambiente ed è capace di sopravvivere per lungo tempo anche al di fuori di un organismo ospite. In seguito ad infezione, si localizza nei tessuti, in particolare nelle cellule dei follicoli delle penne, nella milza e nel fegato. Viene generalmente eliminato attraverso le feci, la polvere delle piume, le secrezioni respiratorie ed il cibo rigurgitato. I genitori possono trasmettere il virus ai figli durante la cova attraverso le uova, portando alla nascita di pulli già infetti, oppure durante l’imbeccata per trasferimento ai piccoli dell’alimento rigurgitato.
Diagnosi e test del DNA per Polyomavirus
La diagnosi dell’infezione può essere basata sull’osservazione dei sintomi clinici della malattia. Oltre a quelli già citati, gli esami hanno rilevato un aumento del liquido nel pericardio, cuore ingrossato, fegato gonfio, reni congestionati. I sintomi sono tuttavia molto vari e non presenti nei soggetti asintomatici.
Analisi al microscopio o test sierologici possono invece aiutare a determinare la storia dell’esposizione virale, ma sono poco efficaci in caso di presenza di piccole quantità di virus o nelle prime fasi dell’infezione.
I test basati sull’analisi del DNA, come i test PCR, permettono di rintracciare la presenza del DNA del Polyomavirus in campioni di sangue e penne. Il test molecolare è molto sensibile, in quanto è possibile rilevare anche una singola molecola di DNA virale, ma non è quantitativo, ossia non è possibile determinare con esattezza il numero di molecole virali presenti nel campione in esame. Attraverso l’analisi del DNA è possibile rilevare la presenza del virus anche durante il periodo di incubazione o in assenza di sintomatologia.
Cosa fare se il soggetto risulta positivo al test del DNA per Polyomavirus
Come detto in precedenza, al momento non esiste una cura efficace. È importante sottolineare che la positività al test del DNA non implica necessariamente che il soggetto sviluppi la sintomatologia.
In caso di risultato positivo, è caldamente consigliato mettere il soggetto in quarantena e rivolgersi ad un medico veterinario per ulteriori accertamenti.
Per avere una visione d’insieme, si consiglia di effettuare una prima analisi su un pool di sangue e penne e solo successivamente, qualora il test dia esito positivo, analizzare separatamente le due matrici.
Se un soggetto non mostra sintomi ma risulta positivo al test del DNA sarà necessario ripetere il test dopo 90 giorni. Se il soggetto risulta positivo anche al secondo test ma continua a non presentare sintomi questo può essere considerato un portatore sano, ovvero potrà trasmettere il virus ad altri soggetti.
Se invece dopo il secondo test il soggetto risulta negativo, è probabile che questo abbia eliminato spontaneamente il virus senza sviluppare la malattia.
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